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Medico Fisiatra, Medico Ayurvedico diplomato c/o Ayurvedic Point (Corso di Master quadriennale in Medicina Ayurvedica), insegnante di Yoga, oli essenziali

venerdì 30 ottobre 2020

Gli otto passi di Patañjali: gli Yama

 

Gli Yama sono pratiche sociali universali.

“Non violenza, veridicità, onestà continenza e assenza di avidità per i beni materiali al di là delle proprie necessità sono i cinque pilastri degli Yama” – Yoga Sūtra II, 30

“Gli Yama sono i grandi voti, potenti e universali, non condizionati da luogo, tempo e classe” – Yoga Sūtra II, 31

Gli Yama dovrebbero formare il contesto di regole su cui basare una società, una sorta di comandamenti; ci permettono di vivere nella società essendo praticanti di Yoga.

Gli Yama sono 5:

  • AHI (non violenza, non far del male, non interferenza). Questo precetto va al di là del semplice non uccidere, magari dell’essere vegetariani per evitare che un essere vivente venga ucciso per fornirci del cibo. Il praticante di Yoga crede che tutti gli esseri viventi siano interconnessi, quindi una volta che siamo profondamente convinti di questa cosa è inevitabile cercare di non fare del male ad alcun essere vivente. Una violenza alla quale spesso non pensiamo è quella che ci autoinfliggiamo inconsapevolmente; mangiare cibo spazzatura, raggiungere livelli di stress tali da ammalarci, non prenderci cura del nostro corpo, della nostra mente e della nostra anima sono tutte forme di violenza nei nostri confronti. Per essere amorevoli e non violenti verso le altre creature dobbiamo innanzitutto esserlo verso noi stessi. Strettamente collegati ad ahisā ci sono i concetti di libertà dalla paura (la paura genera infatti violenza) e libertà dalla collera.

“Quando la non violenza in parole, pensieri e azioni è resa stabile, l’uomo abbandona la sua natura aggressiva e gli altri cessano di essere ostili in sua presenza. – Yoga Sūtra II, 35

  • SATYA (verità). Sincerità di pensiero, parola e azione. Anche qui la verità va intesa in senso ampio: parlare in modo “vero” (ma anche sempre senza violenza), pensare in modo vero (non raccontarsi storie non vere, cercare di vedere le cose per quello che sono veramente e non per quello che la nostra mente crede di vedere), verità nel modo di comportarsi (agire in linea con le nostre verità, con quello in cui crediamo veramente).
  • ASTEYA (non rubare). Oltre al semplice “non rubare” asteya include anche il non essere invidiosi degli averi altri, non utilizzare qualcosa per uno scopo diverso da quello previsto.
  • BRAHMACHARYA (continenza). Il termine brahmacharya è spesso interpretato come castità. Nella tradizione yogica il brahmachārī è un uomo che completamente assorbito dallo studio dei testi sacri. Questo non vuol dire che chi pratica e studia yoga debba essere celibe e vivere in castità; l’energia sessuale è una delle espressioni della forza vitale, quindi brahmacharya significa usare in modo saggio le nostre energie, le nostre forze sia fisiche che mentali per l’evoluzione spirituale.
  • APARIGRAHA (libertà dall’avarizia, assenza di cupidigia). Aparigraha significa radunare o accumulare; quindi vivere senza averi superflui e senza avidità. Ma non solo, aparigraha è anche non attaccamento al proprio pensiero, significa non avere rigidità mentale.

Ovviamente siamo esseri umani, non siamo perfetti, quindi per essere dei praticanti yoga non dobbiamo essere perfetti in tutti questi principi; l’importante è fare del nostro meglio per comportarci secondo questi precetti. Quando sbagliamo riconoscere l’errore e ripartire da lì per migliorarci lungo il cammino dello yoga.

BIBLIOGRAFIA

  • “Commento agli Yoga Sūtra di Patañjali” di B. K. S. Iyengar
  • “Teoria e pratica dello yoga” di B. K. S. Iyengar


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